Il Perugino ovvero Pietro Vannucci

Estratto dalla Guida di Città della Pieve di Valerio Bittarello

Pietro Vannucci, conosciuto anche come il Perugino, nacque a Castel della Pieve, allora  dominio del Comune di Perugia, tra il 1448 ed il 1450.

La sua città natale  conserva alcune delle sue più belle opere pittoriche.
Nella zona compresa tra il Duomo e l’attuale via Vittorio Veneto sorgeva la casa di famiglia di Pietro Vannucci, ricordata con una lapide.
L’abitazione originaria oggi non esiste più ma è giusto iniziare il percorso alla scoperta della vita e delle opere del grande maestro proprio dal luogo in cui essa anticamente sorgeva .
Dopo un primo contatto con la realtà artistica perugina dovette avvicinarsi, secondo quando scrive Giorgio Vasari nel 1550, a Piero della Francesca.

Fu solo a Firenze, dove forse si recò fin dagli anni 1467-1468, che l’artista ebbe gli insegnamenti decisivi che condizionarono le sue prime prove artistiche prendendo insegnamenti nella più importante fucina di giovani talenti allora esistenti, la bottega di Andrea Verrocchio, dove si praticava la pittura, la scultura e l’oreficeria.
Qui ebbe modo di lavorare fianco a fianco con giovani talenti quali Leonardo da Vinci, Domenico Ghirlandaio, Lorenzo di Credi, Filippino Lippi e, soprattutto il poco più che coetaneo Botticelli.
Nel 1472 l’apprendistato, che negli statuti delle arti dell’epoca veniva indicato come non inferiore ai nove anni, era concluso, poiché il Perugino si iscrisse alla Compagnia di San Luca a Firenze col titolo di “dipintore”, quindi in grado di esercitare in maniera autonoma.
Raggiunta presto una notevole fama, venne chiamato a Roma dal 1479, dove dipinse l’abside della cappella della Concezione, nel coro della Basilica vaticana per papa Sisto IV, opera distrutta nel 1609 quando fu dato avvio a ricostruzione della basilica. Da documenti d’archivio si sa che il ciclo rappresentava la Madonna col Bambino in una mandorla, affiancata dai santi Pietro, Paolo (nell’atto di presentarle papa Sisto), Francesco e Antonio da Padova.
Il lavoro dovette riscuotere un notevole successo, tanto che il papa incaricò poco dopo Perugino di decorare la parete di fondo della Cappella Sistina, venendogli presto affiancati per interessamento di Lorenzo de’ Medici, a partire dall’estate del 1481, un gruppo dei migliori pittori fiorentini tra cui Botticelli, Ghirlandaio e Cosimo Rosselli, coi rispettivi collaboratori.
Perugino, che si avvaleva come collaboratore di Pinturicchio, era uno dei più giovani ma ottenne subito una posizione preminente nel gruppo di lavoro.

Nell’arco della sua vita Perugino fu un instancabile lavoratore e un ottimo organizzatore di bottega, lasciando numerosissime opere. Alcuni si spingono ad affermare come egli fu il primo artista-imprenditore, capace di gestire contemporaneamente due attivissime botteghe: una a Firenze, aperta fin dai primi anni settanta del Quattrocento, dove si formarono Raffaello, Rocco Zoppo e il Bachiacca, e una a Perugia, aperta nel 1501, da cui uscì un’intera generazione di pittori di scuola umbra che diffusero ampiamente il suo linguaggio artistico.
Per garantirsi un continuo lavoro Perugino aveva organizzato capillarmente le fasi della produzione artistica e il ricorso agli assistenti.
Le opere venivano di solito trascinate per le lunghe, sospese e poi riprese più volte, in modo da portare avanti più incarichi e non restare mai senza lavoro.
Il maestro riservava per sé le parti di maggior complessità a prestigio del dipinto, mentre alcune parti accessorie, come sfondi e predelle venivano affidate agli assistenti, in modo da accelerare i tempi di esecuzione. Il disegno della composizione spettava invece sempre al maestro, che creava schemi grafici e cartoni preparatori.
La compresenza di più mani in un’opera era organizzata in modo da non far scadere la qualità e l’unitarietà dell’opera, seguendo un unico stile.
La replica frequente di soggetti e composizioni non veniva considerata all’epoca come una mancanza di inventiva, anzi era spesso richiesta esplicitamente dalla committenza.
I contemporanei di Pietro Vannucci lo considerarono come il più grande tra i protagonisti di quel rinnovamento dell’arte italiana nel culmine del Rinascimento, tra gli ultimi decenni del XV e i primi del XVI secolo. La portata delle sue innovazioni e lo straordinario livello qualitativo della sua arte vennero ben compresi, tanto che alla fine del Quattrocento veniva considerato all’unanimità il più grande pittore d’Italia.
Dopo un periodo d’oro, la sua arte subì una crisi, venendo misconosciuta e criticata, accusata di formalismo, ripetitività e ipocrisia.
Solo con gli studi otto e novecenteschi la sua figura riebbe il posto che le spetta nell’arte italiana, ritornando a comprenderne la portata innovativa.
Città della Pieve conserva alcune tra le sue opere più importanti come L’Adorazione dei Magi dell’Oratorio di Santa Maria dei Bianchi, Il Battesimo di Cristo della Cattedrale, La Deposizione dalla Croce del Museo civico diocesano di Santa Maria dei Servi.

L’opera più suggestiva del Perugino che si trova a Città della Pieve è certamente l’Adorazione dei Magi, visibile su una delle pareti dell’Oratorio dei Bianchi, in via Pietro Vannucci.
Si tratta di un grandioso affresco largo sette metri e alto sei metri mezzo che, come riferiscono le due lettere del Perugino ritrovate nel 1835 durante i lavori di drenaggio della parete dell’affresco e riprodotte su targhe in marmo lungo le pareti dell’oratorio, fu commissionato e realizzato nel 1504.
Il Vannucci, in modo telegrafico, richiese duecento fiorini ma si dichiarò disposto”chome paesano” ad accontentarsi di cento da pagarsi a rate.
Dopo le insistenze del Sindaco della Compagnia dei Disciplinati il Perugino ridusse l’importo a settantacinque fiorini ma chiese, per rispetto della sua grande dignità di Maestro, che fosse mandata a Perugia “la mula col pedone che verronne a penctorà”.
Entrando nell’oratorio è impossibile non restare meravigliati dalla sua grandezza, dai suoi colori così reali, dai giochi prospettici perfetti e soprattutto dalla dolcezza che accomuna i volti ritratti.
L’affresco è, infatti, uno dei dipinti più ricchi ed affollati del Maestro Pievese e la storia è rappresentata come un grande corteo cavalleresco in cui i personaggi si inseriscono in maniera elegante, richiamando le posture statuarie classiche e che si perde in lontananza tra uno dei più vasti paesaggi ideati dal Vannucci ossia la rappresentazione ideale di una veduta che va da Città della Pieve verso il Trasimeno e la Val di Chiana.
Ed esattamente in questa visuale che richiama, secondo una rappresentazione ideale la vista che da Città della Pieve va verso il Trasimeno e la Val di Chiana, Il Vannucci inserisce personaggi dalle posture e dai costumi di grande eleganza che riecheggiano, nel loro rifarsi alla statuaria antica, un mondo neoellenistico e virgiliano.
L’affresco dell’Oratorio di Santa Maria dei Bianchi può quindi considerarsi un testo figurativo di fondamentale importanza non solo per la vicenda artistica del Perugino, ma anche uno degli episodi nodali della civiltà artistica tra Firenze e Roma all’alba del cinquecento.
Nella piazza centrale di Città della Pieve è ubicato il duomo della città, la bellissima Cattedrale dei Santi Gervasio e Protasio.
La chiesa ha origini preromaniche ed offre la vista di numerose opere d’arte tra le quali particolare menzione meritano quelle di Domenico Alfani, di Giannicola di Paolo, del Pomarancio e del Savini.
Tra tutte spiccano, però, quelle del Perugino.
Nel primo altare a sinistra si trova il bellissimo Battesimo di Cristo,  del 1510, nel quale la prospettiva utilizzata dal Divin Pittore è perfetta e le due figure, quella di San Giovanni e di Gesù Cristo, si trovano in una posa che richiama le statue dell’antica grecia.
Sull’abside è collocato un altro magnifico quadro di Pietro Vannucci: una tavola che rappresenta la Madonna In Gloria tra i Santi protettori Gervasio e Protasio, firmata e datata nel 1514, composizione, tutta in primo piano, che si caratterizza per i particolari valori cromatici impostati sul rosso e sull’azzurro.

Nella Chiesa di Santa Maria dei Servi, appena fuori le mura, oggi sede del Museo Civico Diocesano, è visibile un altro importante affresco del Perugino.

Si tratta della Deposizione dalla Croce del 1517, l’opera più importante della vecchiaia del maestro, rimasto nascosto a lungo dietro una intercapedine e riscoperto solo nel 1834.

A causa di infausti lavori di rimaneggiamento della chiesa è stato lesionato ma la mano del Perugino è perfettamente leggibile in tutta la sua grandezza.

 

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